Il museo per tutti
I luoghi della cultura sono al centro di questa pubblicazione che riflette sull’ accessibilità museale intesa soprattutto come un modo di pensare all’esperienza di visita, immedesimandosi nelle prospettive di persone diverse. Le declinazioni possono essere molto articolate: non solo la rimozione delle barriere fisiche, ma anche la leggibilità e la comprensibilità di un testo, o una formazione adeguata del personale di sala. Un processo che attraversa il museo nella sua interezza e impone una reale innovazione delle pratiche, verso una democrazia possibile e un nuovo concetto di cittadinanza. Il testo, attraverso la comprensione di quali sono le barriere e gli stereotipi che si incontrano in questo ambito, vuole proporre domande e sollecitare ricerca di soluzioni ed esperienze attorno all’accessibilità museale come paradigma culturale. Per portarci verso un futuro dove dai diritti di accesso alla cultura non sia escluso nessuno, e in cui il museo sia davvero “una casa dove abita una comunità attiva che partecipa e collabora, ricerca e scambia risultati con l’intento di crescere assieme”.


“A me non è mai piaciuto giocarci alla guerra!”. Siamo nel 1300, le rivalità fra i bolognesi, fedeli al papa, e i modenesi, sostenitori dell’imperatore, sono sempre più accese fino a culminare nella battaglia di Zappolino che lascia sul campo più di 2000 morti. Attraverso gli occhi di due ragazzini, seguiamo gli eventi che culminano nel leggendario furto di una secchia di legno, che i modenesi considerano trofeo di guerra e simbolo della loro vittoria. Proprio questa assurda conclusione apre loro gli occhi sulla vera natura della guerra.
“La parte peggiore delle mie paure, la cosa che temo di più al mondo, è la paura della paura stessa. È un vero e proprio mostro, un essere demoniaco che urla e mi vortica dentro, una bestia insaziabile che non smette mai di crescere e crescere […] e se non è tenuta sotto controllo, potrebbe trascinarmi, urlando, al limite della mia sanità mentale, oltre il quale si apre il baratro della pazzia”. È Elliot che racconta e ci permette di toccare con mano le sensazioni che prova da quando è nato, la paura folle di oggetti, situazioni e persone che non siano la madre, la zia e il medico curante. Elliot non esce di casa, vive barricato in camera e tiene sotto controllo la sua paura con pillole che la farmacia gli procura periodicamente. Tutto sembra funzionare finché la vigilia di Natale una tempesta di neve blocca le strade, le pillole sono quasi finite e il ragazzino si ritrova solo in casa in attesa della madre e della zia che sono alla ricerca del medicinale. Qualcosa però va storto, le donne vengono sequestrate da due improbabili rapinatori e lui non ne ha più notizia, i telefoni sono fuori uso mentre le pillole sono finite. Così Elliot si costringe ad uscire per mettersi alla loro ricerca. Sarà una notte difficilissima in cui dovrà fare i conti con i suoi mostri mentre fugge terrorizzato dalle persone che incontra. Si ritroverà alle soglie della casa della zia dove si sono rifugiati i rapinatori e, mentre deve decidere cosa fare, scopre di riuscire a fare i conti con la sua paura che “la sentivo allora e la sento adesso. Ma è diversa … Sento che è giusta, in un certo senso. È ancora strana – come può essere normale avere così tanta paura? – ma è la mia paura strana. Sono io. È quello che sono”.
“Vorrei che questo libro fosse per voi quello che la vita è stata per me. Dicono che il mondo sia privo di confini, che ora possiamo andare dove vogliamo e che siamo liberi di essere ciò che vogliamo. Forse, prima di compiere i miei diciannove anni, anch’io la pensavo così. Ma ora è tutto diverso […] dieci anni fa tutto è cambiato. È pazzesco, ma forse è proprio quando la vita prova a immobilizzarti che tu decidi di oltrepassare i confini […] questo libro parla di morte e di rinascita e della linea sottile che divide queste due realtà di cui si dice così poco”. Il racconto in prima persona dell’incidente che l’ha costretta a cambiare prospettiva, del lento recupero e dell’incontro con Andrea che sarà poi suo marito. Con lui si ritrova a scalare il Machu Picchu, a salire sulla Muraglia cinese, a contemplare la fioritura dei ciliegi in Giappone per scoprire che ogni viaggio è una nuova occasione per cambiare prospettiva, mettersi alla prova, conoscersi meglio e comprendere, infine, che i limiti sono innanzitutto dentro di noi.
Dopo una lunga introduzione che ricostruisce il quadro teorico della ricerca presentata nel volume, quello dei Disability Studies, il volume ne riporta i risultati: si tratta di un’indagine qualitativa che ha messo a confronto i comportamenti di famiglie con figli con Sindrome di Down o Autismo con lieve bisogno di supporto, dando anche voce ai diretti interessati. Nonostante le differenze nella percezione sociale e nelle caratteristiche distintive delle due condizioni oggetto dello studio, gli effetti che la loro stigmatizzazione comporta sono molto simili: adolescenti e adulti con disabilità cognitiva non hanno ruoli sociali e riferimenti identitari positivi con i quali identificarsi, con l’unica eccezione della retorica della neurodiversità.