Non lontano da qui
“…non è che all’inizio me ne fregasse molto di ‘sta storia. Un nome di cent’anni fa, la resistenza… Boh. Roba di scuola, insomma. Roba da lapidi per strada. Però dopo l’ultima volta mi torna in mente. Tutta questa faccenda della legge e del fuori-legge, no? Tipo che non è detto che siccome rispetti la legge allora automaticamente sei buono. E neanche che se non la rispetti sei un criminale. Insomma, solo tecnicamente, ecco. Che poi, ‘sta storia dei partigiani, dico … uno se li immagina come dei banditi, con le armi, anche abbastanza fighi, dai. Ma quel Salvatore Principato faceva il maestro ai bambini”. Il compito assegnatogli dalla professoressa di storia porta Mino, che deve ancora fare i conti con la morte della nonna, alla scoperta della storia di Salvatore Principato, maestro e partigiano, fucilato insieme ad altri quattordici partigiani nel 1944 a piazzale Loreto. E capisce che “Salvatore ha reagito all’ingiustizia. E che farlo era la logica conseguenza della direzione che aveva già preso tanti anni prima e in cui aveva sempre proseguito. Ti ricordi? Scegliere bene da chi farsi indicare la strada e da chi non farsela indicare. Certe cose le fai perché van fatte e basta, perché non farle sarebbe sbagliato”.
Flora la staffetta partigiana
“Flora attraversa il bosco correndo con le sue gambe magre. Lei è amica degli alberi, delle lepri, degli scoiattoli. Ma nei boschi ci sono anche i lupi. Quelli senza pelliccia, con zanne appuntite pronte a colpire chi non vuole farsi comandare […] allora deve correre via dalla strada e lasciarsi ingoiare dal bosco. Fino ad arrivare al di là della montagna e consegnare un foglietto ripiegato così tante volte da diventare grande come un coriandolo nascosto fra i suoi capelli Intrecciati”. La storia di Flora Monti, la più giovane staffetta partigiana della Resistenza Italiana, originaria di un paesino vicino a Bologna. È lei che racconta: “«Quando mi chiesero se volevo fare la staffetta avevo 12 anni. Chiesi il permesso ai miei genitori e mia madre, pur sapendo del pericolo che avrei corso, mi disse soltanto: “Se te la senti”. Io me la sentivo. E così cominciai ad attraversare i boschi con i bigliettini in una scarpa o infilati nelle trecce dei capelli. La paura c’era, i boschi pullulavano di tedeschi che non facevano sconti neppure alle ragazze. Una di noi, Francesca Edera De Giovanni, fu scoperta, torturata e fucilata. I partigiani mi avevano insegnato a mettere l’orecchio a terra per capire se c’erano rumori di pattuglie in avvicinamento. E poi, come scusa se mi avessero fermato, dicevo che stavo andando a comprare i sigari per il nonno”.
L’orco del piano di sotto
“… l’orco del piano di sotto. Oltre a essere gigantesco, aveva la barba più grande del mondo. Gli arrivava almeno fino alle ginocchia, era larga come le sue spalle, ma soprattutto su quella barba circolavano delle voci. I bambini del quartiere raccontavano che la sua barba era viva, e che poteva inghiottire un bambino tutto intero”. È una bambina che racconta della sua vita in un piccolo appartamento con la famiglia, nel terrore di essere scoperti dai nazisti. La piccola non è consapevole di quello che sta accadendo fuori di casa ma quando i genitori non fanno ritorno si ritrova sola con la sorella mentre i soldati stanno perquisendo il palazzo. Sarà proprio il temutissimo orco che le nasconderà e le porterà in salvo. L’albo è ispirato ai Giusti delle Nazioni, persone rimaste per lo più anonime e che, a rischio della loro stessa vita, durante la Seconda Guerra Mondiale salvarono molti ebrei, adulti e bambini, dalla persecuzione nazista ed è un invito a riflettere su quelle apparenze che a volte ingannano e su quelle azioni coraggiose e fatte in silenzio che ci rendono umani.
La porta delle stelle
“Ma io non ce la faccio a non sperare. Il mio cervello è fatto così. Allora spero che qualcuno distrugga la Porta delle stelle e chiuda tutti i rubinetti per spillare birra del mondo, ma non succederà mai, la birra continuerà sempre a scorrere da qualche parte, e nella mia testa si fa tutto nero. Non ho niente da dire. E va avanti così. Continuo a pensare e poi viene la notte, perché viene sempre”. È la piccola Ronja che racconta del padre, che le ama tantissimo ma che non riesce a stare lontano dall’alcol né a tenersi un lavoro e di sua sorella Melissa che si barcamena fra scuola e lavoro per dare una parvenza di sicurezza alla famiglia ed evitare l’intervento dei servizi sociali. Mentre Natale si avvicina e la bambina desidera con tutte le sue forze che le cose si sistemino, si ritroverà insieme alla sorella a vendere abeti e ghirlande.
Cromosomi
Lucia ripercorre la sua storia e quella della sua famiglia a ritroso nel tempo attraverso ricordi, racconti, tratti somatici comuni e oggetti passati in eredità di generazione in generazione, fino ad arrivare ad un’antenata preistorica comune a tutti, di cui porta orgogliosamente il nome. La tendenza dell’umanità alla mescolanza di patrimoni genetici e culturali è sottolineata dall’autore che dice “L’avere vissuto in tre Paesi diversi, ognuno per molti anni, ha fatto di me una specie di miscela, forse senza i legami fortissimi che congiungono qualcuno che nasce, vive e muore nello stesso posto […] Quando tornavo in Argentina mi dicevano che avevo accento italiano, in Messico avevo accento argentino, in Italia si sente la mia pronuncia latina e lo stesso credo valga per le mie influenze artistiche.” Belle immagini e poche parole ci invitano a seguire un filo rosso che ci conduce a ritroso nel tempo fino a raggiungere il famoso australopiteco Lucy, simbolo dell’origine comune di tutti gli esseri umani”.
