Piccolo Orso scopre l’Aurora
“Piccolo Orso aveva un ombrello […] quando papà Orso si arrabbiava aveva tuoni nella voce e lampi negli occhi: un vero temporale. Spesso Mamma Orsa e Piccolo Orso avevano paura di lui. Allora Piccolo Orso si rifugiava sotto l’ombrello”. Una storia per dare sostegno a tutti quei bambini costretti a vivere o ad assistere a situazioni di maltrattamento, violenza e conflittualità, per suggerire loro che non sono soli e che la paura può essere superata.


Prima di partire per il fronte, il papà regala ad Andrea una scatola di soldatini. Nelle pagine, il gioco si alterna alla guerra: non servono molte parole per mostrarne tutta l’assurdità in un crescendo che si scioglie nella speranza: “Ricordi? Tu sei quel bambino che gioca. Tu sei Andrea e il tuo papà lo chiami Walter. Ma i nomi non contano nulla, non hanno valore. I nomi si possono cancellare. Sono solo suoni. Tutti bambini sono Andrea e possono salvare i Walter della terra. Lo possono fare. Perchè sono i loro papà”.
Mercè ha dodici anni e un fratello molto più grande di lei, Pol, con sindrome di Down, una mamma distratta e un padre militare autoritario concentrato su se stesso. E’ Mercè, voce narrante, che si fa spesso carico di sostenere il fratello, di consolarlo o di suggerirgli cosa fare quando lo vede in difficoltà. Quando però Pol si innamora e rivendica spazio e autonomia, neanche lei sarà in grado di aiutarlo e di evitare che la storia si concluda tragicamente. Un bel romanzo che intreccia tematiche difficili come il rapporto fra fratelli e il diritto all’affettività anche per chi ha problemi cognitivi, un romanzo però da proporre con cautela ai ragazzi più giovani e con un supporto adeguato.
Quando il protagonista di questo bel racconto scopre che gli sono spuntate le ali si interroga, cercando di capire: “ho cercato dentro di me, per capire se fosse colpa mia. Ho pensato a una malattia, a una deformazione, a una differenza. Alla fine questa mi è sembrata la definizione migliore. In ogni caso non sapevo cosa fare di questo nuovo me stesso. Ho creduto che gli altri, le persone che amavo, non mi avrebbero accettato”. In un lento percorso di ricerca arriverà al riconoscimento e all’accettazione della propria identità.
“Era aprile quando ho cominciato a pensare che qualcosa non andasse più in me. Guardavo le cose per ore senza ricavarne un senso. Sentivo freddo, avevo paura”. Una storia delicata che solo per accenni e belle immagini parla ai bambini di depressione, un tema difficile che spesso li sfiora ma di cui non sanno darsi spiegazioni nè pensare alla possibilità di una via d’uscita.