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Autore: Annalisa Brunelli

Flora la staffetta partigiana

“Flora attraversa il bosco correndo con le sue gambe magre. Lei è amica degli alberi, delle lepri, degli scoiattoli. Ma nei boschi ci sono anche i lupi. Quelli senza pelliccia, con zanne appuntite pronte a colpire chi non vuole farsi comandare […] allora deve correre via dalla strada e lasciarsi ingoiare dal bosco. Fino ad arrivare al di là della montagna e consegnare un foglietto ripiegato così tante volte da diventare grande come un coriandolo nascosto fra i suoi capelli Intrecciati”. La storia di Flora Monti, la più giovane staffetta partigiana della Resistenza Italiana, originaria di un paesino vicino a Bologna. È lei che racconta: “«Quando mi chiesero se volevo fare la staffetta avevo 12 anni. Chiesi il permesso ai miei genitori e mia madre, pur sapendo del pericolo che avrei corso, mi disse soltanto: “Se te la senti”. Io me la sentivo. E così cominciai ad attraversare i boschi con i bigliettini in una scarpa o infilati nelle trecce dei capelli. La paura c’era, i boschi pullulavano di tedeschi che non facevano sconti neppure alle ragazze. Una di noi, Francesca Edera De Giovanni, fu scoperta, torturata e fucilata. I partigiani mi avevano insegnato a mettere l’orecchio a terra per capire se c’erano rumori di pattuglie in avvicinamento. E poi, come scusa se mi avessero fermato, dicevo che stavo andando a comprare i sigari per il nonno”.

L’orco del piano di sotto

“… l’orco del piano di sotto. Oltre a essere gigantesco, aveva la barba più grande del mondo. Gli arrivava almeno fino alle ginocchia, era larga come le sue spalle, ma soprattutto su quella barba circolavano delle voci. I bambini del quartiere raccontavano che la sua barba era viva, e che poteva inghiottire un bambino tutto intero”. È una bambina che racconta della sua vita in un piccolo appartamento con la famiglia, nel terrore di essere scoperti dai nazisti. La piccola non è consapevole di quello che sta accadendo fuori di casa ma quando i genitori non fanno ritorno si ritrova sola con la sorella mentre i soldati stanno perquisendo il palazzo. Sarà proprio il temutissimo orco che le nasconderà e le porterà in salvo. L’albo è ispirato ai Giusti delle Nazioni, persone rimaste per lo più anonime e che, a rischio della loro stessa vita, durante la Seconda Guerra Mondiale salvarono molti ebrei, adulti e bambini, dalla persecuzione nazista ed è un invito a riflettere su quelle apparenze che a volte ingannano e su quelle azioni coraggiose e fatte in silenzio che ci rendono umani.

La porta delle stelle

“Ma io non ce la faccio a non sperare. Il mio cervello è fatto così. Allora spero che qualcuno distrugga la Porta delle stelle e chiuda tutti i rubinetti per spillare birra del mondo, ma non succederà mai, la birra continuerà sempre a scorrere da qualche parte, e nella mia testa si fa tutto nero. Non ho niente da dire. E va avanti così. Continuo a pensare e poi viene la notte, perché viene sempre”. È la piccola Ronja che racconta del padre, che le ama tantissimo ma che non riesce a stare lontano dall’alcol né a tenersi un lavoro e di sua sorella Melissa che si barcamena fra scuola e lavoro per dare una parvenza di sicurezza alla famiglia ed evitare l’intervento dei servizi sociali. Mentre Natale si avvicina e la bambina desidera con tutte le sue forze che le cose si sistemino, si ritroverà insieme alla sorella a vendere abeti e ghirlande.

Cromosomi

Lucia ripercorre la sua storia e quella della sua famiglia a ritroso nel tempo attraverso ricordi, racconti, tratti somatici comuni e oggetti passati in eredità di generazione in generazione, fino ad arrivare ad un’antenata preistorica comune a tutti, di cui porta orgogliosamente il nome. La tendenza dell’umanità alla mescolanza di patrimoni genetici e culturali è sottolineata dall’autore che dice “L’avere vissuto in tre Paesi diversi, ognuno per molti anni, ha fatto di me una specie di miscela, forse senza i legami fortissimi che congiungono qualcuno che nasce, vive e muore nello stesso posto […] Quando tornavo in Argentina mi dicevano che avevo accento italiano, in Messico avevo accento argentino, in Italia si sente la mia pronuncia latina e lo stesso credo valga per le mie influenze artistiche.” Belle immagini e poche parole ci invitano a seguire un filo rosso che ci conduce a ritroso nel tempo fino a raggiungere il famoso australopiteco Lucy, simbolo dell’origine comune di tutti gli esseri umani”.

Mio fratello è a Ferramonti

“Cara Miriam, dolce sorellina […] presto dovremmo essere trasferiti e lasceremo il carcere. Potremmo andare in un luogo lontano, ma tu devi stare tranquilla, ci rivedremo presto”. Siamo nel giugno del 1940 e seguiamo le sorti di due fratelli ebrei attraverso le lettere che si scrivono. Gabriel sostiene la sorellina mentre la situazione si fa sempre più difficile. Lui è internato nel campo di concentramento di Ferramonti, in Calabria dove rimarrà fino alla fine della guerra mentre il resto della famiglia non tornerà dai campi di sterminio. I due fratelli immaginari permettono di conoscere le persecuzioni razziali e anche la realtà poco nota dell’unico campo da cui nessuno fu deportato in Germania.