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Mese: Febbraio 2021

Press play on sport

Le limitazioni fisiche e sociali imposte dal Coronavirus hanno coinvolto sin da subito la pratica sportiva, tracciando una distinzione regolamentata tra livelli professionistici e pratica sportiva di base. In che modo questa distinzione riguarda chi da sempre si misura con l’accessibilità allo sport a causa di una disabilità fisica o mentale? In Italia la pratica sportiva tra le persone con disabilità appare significativamente meno diffusa rispetto al complesso della popolazione. Le parole in questo ambito sembrano concorrere a valorizzare solo i livelli di vertice e i grandi protagonisti, tralasciando le attività di base dello sport adattato, integrato o di altre pratiche sportive in cui le persone con e senza disabilità giocano fianco a fianco.
Il libro, a partire da un’analisi del linguaggio adottato per raccontare e discutere di questo tipo di sport, descrive alcune esperienze legate a sport adattati e integrati alla pratica di persone con disabilità, insieme ai servizi che consentono alle persone con diversi tipi di disabilità di assistere agli eventi sportivi. Una sfida che si apre oggi per lo sport per disabili rispetto alla società nel suo complesso. Rispetto al futuro che vogliamo costruire. Perché torneremo a fare sport, ma dobbiamo tornarci tutti.

Le percezioni sensoriali nell’autismo e nella sindrome di Asperger

La capacità di percepire correttamente gli stimoli ambientali è fondamentale in molte aree dell’agire sociale e comunicativo. Sebbene le persone con autismo vivano nello stesso mondo fisico delle persone neurotipiche, il loro mondo percettivo è radicalmente diverso. Una nuova edizione, rivista e ampliata, di un saggio fondamentale, un libro importante che permette a insegnanti e altri professionisti che lavorano con persone con disturbi dello spettro autistico di capire pienamente le differenze di percezione sensoriale nell’autismo e quanto esse siano alla base di molti comportamenti altrimenti inspiegabili.

Pinocchio alla rovescia

Felipe è un bambino curioso e attento, si pone tante domande e con grande fiducia le rivolge anche agli adulti. La risposta che riceve è sempre la stessa: a scuola troverai tutte le risposte. Ben presto però la scuola lo trasformerà nell’ennesimo alunno omologato e corrispondente ai desideri di adulti incapaci di ascoltare. Alves fa riferimento al sistema scolastico brasiliano che, in questo piccolo libro, viene criticato ferocemente mettendo in luce come, in tanti casi, è proprio la scuola a trasformare i bambini in burattini di legno. Ma c’è sempre la possibilità di scegliere “una strada porta ad essere guardiani di un sistema scolastico precostituito e ordinato in programmi, contenuti, tabelle, voti; un’altra, strettissima e ardua, a essere maestri che insegnano a volare con le proprie ali, ascoltando il ritmo della propria anima”.

Adesso viene il bello

“Giorgio è il mio figlio “ecologico”, che mi ha insegnato a vivere con meno sovrastrutture, che mi ha mostrato che il figlio buono, quello non difettoso, può scivolare, sbagliare, finire in prigione, subire una violenza, iniziare a drogarsi; tu gli hai parlato di un mondo perfetto, e lui non crederà più nella misericordia, nel perdono e nella meraviglia di rialzarsi. Bé, Giorgio ha sbagliato in partenza, ci ha “delusi” tutti, mi ha fatto addirittura provare la vergogna di una madre che mette al mondo il figlio “fallato”. Ma noi abbiamo scoperto e imparato che questa cosa ci ha reso liberi. La schiavitù di un cromosoma ci ha tolto dall’incastro di pensarci infallibili, di pensarci migliori o forse semplicemente di pensarci, e ci ha regalato la libertà di essere così come siamo”.  La storia di una famiglia qualsiasi che si racconta nella sua quotidianità dopo la nascita dell’ultimo figlio, con sindrome di Down.

Lucilla

“Lucilla è il suo nome. In verità si chiama Emilia. Ma questo era anche il nome di sua madre. E un tempo suo padre trovava fastidioso che due persone alzassero la testa ogni volta che chiamava, per cui in seguito non ha più voluto sentire quel nome. Per questo ora la chiama Lucilla. “Ma non è che brilli tanto, Lucilla – le dice sempre quando dimentica qualcosa o inciampa da qualche parte e il più delle volte proprio mentre ha in mano una pentola di minestra bollente o qualcosa del genere”. Poche righe e già si può immaginare la piccola protagonista alle prese con un padre distratto e oppresso dal dolore che scarica sulla bambina la responsabilità del faro di cui è guardiano. E quando una notte la luce del faro resta spenta e una nave si incaglia fra gli scogli, arriva la punizione: mentre il padre viene murato nel faro con l’obbligo di tenerlo acceso, la bambina viene mandata a servizio alla Casa nera dove pare viva un mostro che nessuno ha mai visto. Ma Lucilla è curiosa e determinata e scoprirà chi è rinchiuso nella stanza della torre, ne saprà conquistare il cuore e soprattutto capirà come renderlo felice. Una bella storia che parla di diversità e pregiudizi ma anche di capacità di ascolto, accettazione e rispetto, nel riconoscimento della dignità e dell’identità di ciascuno.