Quando tornerai
“Stamani mi sono alzato all’alba per venire da te (e sai quanto amo dormire), perché giustamente sospettavo che più tardi camera tua sarebbe stata sotto assedio. Mi sono seduto sul mio angolo di letto e ti ho letto le pagine sportive. Ti ho raccontato degli ultimi giorni e massaggiato le mani, ormai sono diventato bravissimo. Sia lodata la vasellina! Comunque, le tue dita non sono più rigide e fredde, e a volte mi sembra che tu risponda al mio tocco. Come oggi. Ero talmente sicuro che mi stringessi le mani che mi sono piegato su di te per guardarti negli occhi. O almeno guardare la minuscola fessura che generosamente ci concedi. I tuoi occhi erano immobili e fissi come quelli del pupazzo di un ventriloquo. Sì, Hannes, mi ricordi il pupazzo di un ventriloquo, perché mi parli ma non dici nulla. Eppure io ti sento lo stesso. Forte e chiaro. Però quando osservo i tuoi occhi che guardano senza vedere, il sospetto che tu stringa le mie mani svanisce all’istante. No, non stringi nessuna mano. Così come non sogghigni, ma la speranza è l’ultima a morire. Quando ho guardato il vecchio castagno davanti alla finestra mi sono accorto che le foglie stanno ingiallendo. Fa caldo e c’è il sole, ma l’autunno sta già annunciando il suo arrivo. I giorni volano e la vita passa e tu non la vedi. Tu non la vedi”.
Per un anno, Uli scrive il resoconto della sua vita sotto forma di lettere che poi legge ad Hannes, immerso in un coma senza uscita, nel suo letto di ospedale. Con intensità e partecipazione ma anche con leggerezza e ironia, il romanzo racconta la profondità di un’amicizia e il dolore del distacco e della perdita.


“Tu parli l’italiano,
“Un insegnante è venuto a casa nostra. Ha detto che potrei avere dei disturbi dell’apprendimento. Ha detto che il mio cervello potrebbe essere diverso”. “Siamo tutti diversi” ha detto Papà Pete – è quello che ci rende fantastici”. “Ma che cosa succede se il test dimostra che sono stupido?” “Nipote caro, non c’è niente di stupido in te. Non hai forse costruito quel progetto per la scuola? Non hai capito come costruire il cappello? Non hai sorpreso tutti quanti i miei amici alla sala da bowling? Tu sei un vincente, Hank”.
Itard, Seguin, Montessori, via via fino Zavalloni e Bollea. Un percorso di conoscenza e di analisi dei momenti, dei luoghi e dei personaggi che hanno fatto la storia dell’educazione di bambini e ragazzi disabili, costruito intrecciando le voci dirette dei protagonisti con le analisi critiche di numerosi studiosi e utilizzando anche preziosi documenti d’epoca.
“Avrei dovuto riempire quei piccoli rettangoli bianchi con un’interminabile serie di attività che potevano generare felicità, divertimento, soddisfazione o piacere. Avrei dovuto riempirli di qualsiasi esperienza positiva fossi stata in grado di scovare per un uomo che non poteva vivere una vita normale a causa delle sue braccia e gambe inerti. Avevo quattro mesi scarsi di caselle da infarcire di giornate all’aperto, gite, visite, pranzi e concerti. Dovevo escogitare qualsiasi sistema pratico per far sì che li vivesse, e fare ricerche sufficienti per assicurarmi che non fallissero. E poi dovevo convincere Will a provarci […] Avevo centodiciassette giorni per convincere Will Traynor che aveva una ragione per vivere”.